U’ câne d’à wücciarije |
L'ha scritt Peppe Nesta | |
venerdì 22 febbraio 2008 | |
La beccheria posta nel pieno centro della Via Duomo, tra Vico Pontescuro e Vico Seràfico, era meta soprattutto dei popolani più abbienti, non che ce ne fossero molti, infatti i clienti abituali, per lo più nobili e signorotti, inviavano i loro maggiordomi ad acquistare le prelibate carni che Dunate (Donato) macellava ed esponeva sui suoi modesti banchi di legno con i pianali in marmo.
Giggine era sempre lì immobile all’ingresso del locale, all’arrivo dei clienti, dopo essere scattato quasi sull’attenti, una specie di sorriso dava l’impressione che ringhiasse, invece era il suo modo di accogliere la gente, perchè subito dopo un lieve tentennare della sua testa, come se dicesse un sì di consenso, tranquillizzava tutti al punto che più di qualcuno lo invitava a raccogliere le sue carezze, ed allora lui saltava sulle due zampe allungandosi con quelle anteriori sulle gambe del cliente come per facilitarne il compito, poi, dopo un lungo sbadiglio, quasi fosse annoiato della solita tiritera, ridiscendeva e tornava al suo posto ricomponendosi a mò di gomitolo. Volpino, meticcio da chissà quante varie razze, bianco maculato di marrone, dal pelo lungo e la coda a ciuffo, dello stesso colore del ciuffo che aveva sotto il mento come una barbetta. Donato asseriva che al suo cane quella barbetta gli era cresciuta in vecchiaia, come a simulare la saggezza che anche un animale acquisisce nel tempo. Dunate raccontava che Giggine doveva essere un cane da circo equestre, quando si incontrarono, forse una dozzina di anni prima, fù come una festa per entrambi, Gigine era come se fosse un cane addestrato, danzava a suon di musica ritto sulle zampe posteriori, riusciva a porsi dritto anche su quelle anteriori, faceva capriole vorticose, riportava indietro qualsiasi oggetto lanciato e, a suo dire, faceva salti che addirittura superavano il metro e mezzo. Una mattina Dunate non vedendolo capì che Giggine non sarebbe arrivato più, corse sù e giù per tutta la Città Vecchia alla sua ricerca, lo attese a lungo nella sua wucciarije e, non nascondendo talvolta le lacrime ai suoi clienti che chiedevano di lui, ne raccontava con orgoglio le sue imprese, quelle di un cane, un amico fidato, pronto a morire per il suo padrone, compagno di lavoro e di vita, sincero e fedele ... ad avercene di amici così. Ma ormai Giggine era anziano, aveva dato tutto sè stesso per il suo padrone e per i suoi padroncini, tuttavia era ancora il primo a presiedere l’ingresso del locale e si piazzava lì ad accudire l’entrata della sua wucciarije, accontentandosi di mangiucchiare qualcosa e rosicchiare, con i pochi denti rimasti, qualche osso che Dunate gli allungava. Però imperterrito continuava ad adempiere al suo dovere, assisteva alla apertura del locale del suo padrone ed era il primo ad entrarvi, come per un primo giro di perlustrazione, poi appena arrivavano i suoi padroncini li scortava fino a scuola, per poi fare ritorno al suo lavoro, ... di compagno e sorvegliante delle proprietà di Dunate. Se avesse potuto parlare forse sarebbe stato lì ad intrattenere i clienti, anche raccontando storie gloriose della sua gioventù, di come i tempi erano cambiati, di come non ci fosse più rispetto per gli anziani, di come non esistessero più le stagioni, ... ma solo i suoi occhi raccontavano e solo chi sapeva raccoglierne la tristezza di quegli occhi inseriti in un mucchietto di ossa scricchiolanti, intuiva tutto e cercava di consolarlo con le sue carezze. |
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Ultimo aggiornamento ( lunedì 25 febbraio 2008 ) |