A San Martìne ogni mùst’ è vìne, a San Nicola d’ogni vòtte si fàsce ‘a prova, d’a ‘Maculàte ogni vòtte vò travasàte – A San Martino (11 nov) ogni mosto è vino, a San Nicola (6 dic.) di ogni botte si fa la prova, all’Immacolata (8 dic) ogni botte deve essere imbottigliata). Tre date del periodo autunnale, che per i contadini scandiscono la “maturazione” e la bontà del vino. L’11 novembre è il primo, e più atteso, appuntamento col vino novello.
<< Dice a scalère: Sciamèle a vvedere! Dice a sckarole: E sciàmene de bbon'ore! Dice l'àcce: Ce bbedde vine sacce! Dice ‘u diavulicchie: ‘ngè vò nu quint’ e n’anticchie! Dice ‘u fenùcchie: ‘Bbìve cucchie! Dice ‘u rafanìedde: Nu picch' a mme ca sò ppuverìedde! Dice ‘a bbastunàche: Sciamène mò ca sìme tutte 'mbriache!! >>
(Dice il cardo: andiamo a vedere (il vino novello - perchè di solito in questo periodo si possono gustare anche i cardi) dice la scarola: andiamoci presto (la scarola invece sta per finire, allora incita a sbrigarsi) dice il sedano: io conosco solo il vino buono (esalta il sapore del vino) dice il finocchio: bevimi insieme (perchè il suo sapore rende gradevole anche "'u vine spùnte" - aspro e acido, quasi aceto) dice il ravanello: un pò anche a me che sono poverello (un ortaggio povero, che si accompagna bene col vino perchè piccante) dice la carota: andiamocene che siamo tutti ubriachi. ) ...scalère (cardi), sckarola (scarola), àcce (sedano), fenùcchie (finocchi), rafanìdde (ravanelli), bbastunàche (carote)… ortaggi chiamati spingitoria, perché accompagnavano molto bene il vino, ma lo spingitore per eccellenza era ‘u diavulicchie asckuante (il peperoncino piccante). La spingitoria era molto usata nelle “putée" di una volta, dove non mancano neanche ceci e fave arrostite, lupini, noci, “castagne d’u prevete” , insomma tutto ciò che stimola la sete e assorbe l’alcool. Non a caso, sui banconi delle putée non mancavano mai le uova sode che attenuano gli effetti del vino, e le sarde salate che stimolano la sete, come dire, il male e la medicina, il veleno e il suo antidoto. Le putée erano cantine, osterie casereccie, che offrivano anche da mangiare piatti stuzzicanti e veloci, una sorta di primitivo fast food. Nelle putée era già tutto pronto al momento dell’ordinazione, non servivano la pasta, mentre si potevano trovare “le cicureddhe de campàgna ‘a minestra” o “fav’ e fogghie ‘ncrapiate”, “patèddhe” al sugo piccante, “cuzzeddhe” olio aglio e menta, ma il piatto forte erano “a’ sazìzze” e “le pizzett’ de cavàdde” – il gulash dei nostri (bis) nonni, che dopo le dure giornate di lavoro, usavano passare qualche ora in compagnia nella putée. Ma non si andava alla putéa per mangiare ma per bere, il mangiare serviva “a cummà ‘u stommeche” (riempire lo stomaco) per poter appoggiare il vino. Il cibo era funzionale alla degustazione del vino. Un vero e proprio rito, che richiede armonia, amicizia, allegria e soprattutto non va consumato in piedi, e la putéa diventa un ideale luogo di sosta e di ritrovo. La vita per i “putiàre” (gestori delle putée), non era facile. Dovevano alzarsi prima dell’alba e preparare tutto, perché spesso i clienti si fermavano prima di andare a lavorare, e per i pescatori, i contadini, i muratori, la giornata inizia molto presto, e visto il duro lavoro, chi poteva si permetteva il lusso di cominciare la giornata con “ nu pezzètte, nà fressèdd’ e mienze quinte” (mezzo quinto = misura che corrispondeva a cento grammi – l’equivalente di un bicchiere di vino). Per molte persone sole, scapoli, anziani, la putéa era anche il luogo per assicurarsi un pasto con poche lire, infatti l’euforia per questi locali, a parte il fascino goliardico, nasceva anche dalla modestia dei prezzi. Per questo l’avvento della ricevuta fiscale ha contribuito a far sparire le putée… come si fa a rilasciare una ricevuta fiscale per un mezzo quinto? Alcune si sono trasformate in osterie, trattorie, e qualcuno ha osato anche dippiù… Resiste ancora qualche “furnjiedde” ossia i retrobottega dei macellai, famosi più che per il bere per quello che viene chiamato “l’uacizz” (gozzoviglia), ossia lo spirito di andare con gli amici a ‘u furnjiedde dove venivano serviti agnello e capretto arrostiti, “gnummariddi” (involtini di interiora di ovini), “ a’ capùzze” (testine di agnello) sempre alla brace. Ma “uacizz” era prima di tutto una liberazione dagli affanni giornalieri, lasciandosi andare al piacere della conversazione, mangiando senza tovaglie, né piatti, né posate, ma prendendo e mangiando i pezzi di arrosto con le mani, secondo l’antica consuetudine dei nostri antenati greci e romani. Oltre i locali che si sono trasformati, ci sono locali che nascono ex novo sul modello culinario delle vecchie putée, e non per un adattamento strutturale ma per un trend. Ci sono fast food che invece di guardare ai modelli americani si sono ispirati a quello delle putée, riproponendo piatti e sapori tipici a difesa di un’identità che va difesa anche a tavola. |