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La scesa PDF Stampa E-mail
L'ha scritt usinnache   
sabato 03 giugno 2006
Si racconta a mo’ di leggenda metropolitana che, quando ancora vigeva la leva obbligatoria e molti tarantini destinati all’esercito effettuassero la famigerata visita dei “tre giorni” presso la caserma “Pico” di Lecce, un cadetto ionico, interrogato sul suo stato civile e richiesto di specificare se fosse celibe o sposato rispose laconicamente con uno “sceso”, lasciando interdetto il sottufficiale interrogatore.
Il “culacchio” se non è vero e verosimile, perchè di “scesi” ce n’erano tanti, anche in età da soldato.
Il significato è chiaro: la “scesa” è la “fuga d’amore”, la “fujitina” siciliana, quall’atto in cui due amanti, il cui rapporto non è visto di buon’occhio dalla famiglia, mettono i genitori davanti al fatto compiuto, costringendoli ad accettare il “matrimonio riparatore.
Più dubbiosa è però l’etimologia del termine, tanto che anche il De Vincentiis, nel suo prezioso “Vocabolario del dialetto tarantino” del 1872 non va oltre una laconica “il fuggire che fa la donzella dalla casa paterna con l’amante”. Apparentemente il lemma deriva dal verbo “scendere”, con preciso riferimento all’atto: in effetti per sostanziare l’azione, in specie per quanto riguardava la ragazza – come appunto nota il De Vincentiis - che aveva ben poche occasioni in passato di uscir di casa che non fossero la messa o qualche commissione, sempre scortata da mamma, zia, sorella o cameriera al seguito. Così, per riunirsi all’amato bene, la futura nubenda “scendeva” da casa, allontanandosi dal tetto familiare verso il suo nuovo status.
Il significato di “scendere” può anche essere più simbolico, poichè l’atto era spesso deplorato e quindi si può dire che chi lo metteva in pratica in qualche modo “scendeva” nella considerazione sociale.
Ma spesso le apparenze ingannano, e di questa idea è chi vedeva nel termine “scinnùta”, con cui si indicava l’atto e l’attrice, una contrazione di “sciuta alla nuta” (andata via nuda), anche qui con diversi significati possibili.
Il primo riferito, ovviamente, all’abbigliamento propriamente detto: le ragazze da marito avevano il loro corredo di abiti, vestaglie, lenzuola e fazzoletti amorevolmente conservato in capaci cassapanche di legno, condizione che rendeva assai disagevole effettuare una “fujitina” portandosi appresso lini e cotoni stipati e stirati. Colei che “scendeva” quindi, se ne andava via di casa “nuda”, avvero con solo gli abiti che indossava, o poco più.
Altro significato, più simbolico, vede la nudità come condizione morale più che fisica, una “scinnuta” col suo atto “metteva a nudo” la sua dubbia moralità (secondo le acide bizzoche del vicinato) e la sua sensuale passione.
Le ipotesi sono aperte alla discussione, e probabilmente la verità non sta solo da una parte.
Passiamo alla motivazione pratica del gesto, che nella mitologia popolare afferisce alla scelta di amanti appassionati come gli scaligeri Giulietta e Romeo ma più ansiosi di passare al tepore del focolare (o del talamo...) domestico che alle imperiture pagine della storia drammatica.
In effetti era questa una delle motivazioni principale, in specie in un periodo in cui i matrimoni erano spesso combinati e il sentimento doveva cedere il passo a questioni di interesse e d’eredità.
Ma non erano solo giovani appassionati e contrastati dalle famiglie a dedicarsi alla “scesa”, capitava anche che molte famiglie non avessero risorse economiche sufficienti ad organizzare la celebrazione delle nozze con i fasti che ci si attendeva così, per giustificare ad occhi estranei una cerimonia modesta e frugale, ottima scusa era il dover organizzare un matrimonio riparatore in fretta e furia, trascurando, per amor di rapidità, festini, banchetti, addobbi e sfarzi vari.
Si è detto che il fenomeno era assai diffuso, tanto che di questo si occupò perfino un  Prefetto di Taranto durante il periodo fascista, in un episodio che è gustoso raccontare.
Accadde quindi che nel 1929 era stato nominato Prefetto di Taranto il colonnello Grassi, che si fece precedere da un telegramma pomposo e magniloquente.
L’occasione non sfuggì ad un epigono locale di Pietro Aretino (il mai troppo compianto Michele De Noto) che compose all’occasione un salace epigramma. L’ira del colonnello sbeffeggiato fu enorme ma non trovò bersaglio perchè la città fece un omertoso muro intorno all’autore dei pungenti versi.
Sia per carattere, sia perchè già da subito maldisposto verso la città ospite, il Prefetto a settembre fece affiggere un manifesto entrato nella storia, che così disponeva: “L’immoralità dilaga brutalmente. Odio piagnistei di genitori; vedo resistenze di Don Giovanni beoti; madri che han l’ardire di parlarmi della scesa delle figlie minorenni e perfino mi chiedono il letto per risolvere le resistenze di un incosciente giovane bruto. (....) Siano colpite le scese senza pietà; colpita la donna siccome gatta oscena, colpito il maschio come becco beota. (....). La scesa, fuori dalla legge umana e divina, sarà oramai implacabilmente castigata. Specialmente colpirò padri e madri. Nel fascismo ionico fisso questa legge di bonifica umana. Padri e mari siete responsabili dei figli minori. Intendo così e così agirò. Il Prefetto Grassi."
Apriti cielo! Il Inghilterra si dice che se un uomo fuma sotto un cartello di divieto viene multato, ma che se cento uomini fumano sotto il divieto è il cartello ad essere rimosso. Nonostante le divergenze di vedute con la perfida Albione in questo caso l’allora capo del governo concordò con questo modus operandi e non dette tempo al Prefetto di fare altri danni, fulminandolo con un telegramma che laconicamente gli annunciava: “Ritenetevi nominato Prefetto per errore”.
Dopo due mesi il Prefetto Grassi sparì da Taranto mentre - dopo millenni di storia - la “scesa” è ancora parte del costume ionico....
 
< Vid quidd d'apprim.   Vid 'nnotre. >
 
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