La resa dei vanti |
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martedì 19 giugno 2007 | |
Il prode Marco Tarantino riemerge dalle sciroccose e sciroccate brume ioniche e così ci scrive: Siccome perseverare diabolicum, eccetera, sta per cadere in libreria il mio secondo lavoro ('lavoro'), 'La resa dei vanti', Dellisanti Ed. E' un delirio misto di follie grigliate, in cui la morale è che... beh. Siccome la volta scorsa mi portò male, però mi divertii e trovai da parte vostra una gentile ospitalità, ripeto il rituale di inviarvi uno stralcio. La scelta, chissà perché, mi è caduta su Sfilanti, che si rifà a un concorso cui ho assistito personalmente e che raffigura protagonisti (e protagoniste) del teatrino tarantino che qualcuno potrà facilmente riconoscre. Detto fra noi, siamo al limite del domicilio cautelare nell'isola di Montecristo, e nella grotta più sguarrata. Ma vabeh, dato che è detto fra noi e non ci sono nomi ufficiali. Non aggiungo altro di niente, l'ho fatta già lunga e odio annoiare. Se vi va, tenetevelo e rideteci su. Non mollare, non mollate mai. Un abbraccio a te e a tutti gli oltranzisti Marco Tarantino
SFILANTI Miss Mascherina: mica lupini. Chi vince sbarca al Concorso, due regioni più in là. Il mondo, si sa, è delle intelligenze. Però, le apparenze. Insomma. Sono simpatica, prima che bella. E sveglia. Leggo, di tutto: Geppo, Soldino. Io Paperino. Io Paperoga. Ragazze, che foga. Il Biondo deterge la fronte, che innaffia il microfono. Dura sudarsi la vita da animatore. Scoppia l’ampio locale dell’inclito meglio di tutto il paese. Illustre l’esimia giuria. C’è mrs. Pompa D’Oro, d’oro i capelli stirati con ripassata di lingua, d’oro la flora che adorna le membra, d’oro le toppe ai crepati molari, d’oro i ponteggi che fa Cagnolotto. Pompa lo indusse al divorzio, e ora lo scopa turandosi il naso ed il raso. Vi si accompagna. Il Piccolo Cane dirige una strana agenzia e alleva discreti legami. Per Pompa farebbe di tutto. Pompa riscuote: ha appena incassato un posto inventato dalla locale Amministrazione: Consulente Giurato. Paga lo Stato. Scusate la divagazione. C’è il Sindaco Egreggio, chi ha scritto così? Basta una gi, benedetta ignoranza. Perdono! Perdono, eminenza. Guardia Del Corpo fa un cenno, e chiama il collega. Collega ha l’aria assai presa e ogni volta che spunta sputacchia: ”Cazzo succede?”. Prendi la penna e usala lì: va cancellata una gi. Quale? Beh, decidilo tu, non posso istruirti su tutto: forse la prima. O la seconda. Vero, può essere pure la terza. Operativo, ragazzo! C’è Enza Corrìspond, checca perduta: sublima il paese con le sue articolesse al giornale locale, mostre di cani, parate di gatti, inchieste sui topi nei tuguri dei matti, questo – sul serio – è molto sociale. Animale! Grida la Guardia. Enza sobbalza. Collega compare: cazzo succede? Un addetto ha tolto la sedia all’egreggissimo Sindaco, finito di chiappe per terra. Lo devo rialzare? Collega è perplesso. Ma devo istruirti su tutto? Se si è fratturato, lascialo stare. Se invece respira, pazienza e fiducia. La Pompa s’adombra: che pressappochismo, questi paesani, in città non succede. Il Biondo si suda una sindone: fesso che sono, un bel karaoke e salvavo le tasche, chi cazzo mi ha fatto accettare? C’è Titta Larossa, puttana badessa, col fieno in cascina di un evo al galoppo ha aperto tre bar e un paio di sale. Capisce di soldi, di flussi, di personale. Il paese la sdegna e la riverisce: per forza, o per debolezza. A Titta quella vaiassa di un altro recinto dice qualcosa: anni lontani. Com’è che la chiamano, Pompa? Nome un po’ fine, resusciti la crinoline. Mi ricorda qualcuna, ma sono passati sei lustri, di certo mi sbaglio. Mi sbaglio? Piazzavo gli zaini sui muretti a secco, e sotto una freccia di rosso dipinta. Quella bimbetta... Quattordici? Più probabile sedici. Se la cavava, cazzaccio. Orde di camionisti. Due anni, e mi mollò. Col malloppo, sicuro. Ci giuro. Mai perquisita, ci mancherebbe, io sono signora: sempre saputo che aveva una banca nelle cavità. Ripete a se stessa, Titta Larossa: forse mi sbaglio. Eppure somiglia. Com’è che la chiamano, ora? C’è Gloria Paesana, prof in pensione, moglie scomparsa per disperazione, iperproduzione, e quanto all’attuale, dispepsia duodenale. Più pirdi che versi, e i versi son tanti. Più loffe che giambi, e i giambi millanti. Il Sindaco, affianco, è alla canna del gas. Gloria suppone sia l’aria fumata: quanto si sbaglia. Gli dedica lesto un estro immediato e un peto col silenziatore: il peggiore. Comunque, eminenza, sì Vate al ludibrio \ m’illumino d’alto equilibrio. Va bene, o pospongo? Sindaco ormai ha il volto citrino, Gloria epitaffia con un rumorino. Pompa sconocchia, le spruscia la coscia. Vigila Guardia e chiama Collega. Svelto, ragazzo. Cazzo succede? Non è il finimondo, solleva quel cesso, devo istruirti su tutto? Fianco al consesso, un reverendo. Il Reverendo. Attempato, stimato. La lunga tonaca, il clergy. Conchiude le mani. Non prega. Gli anni d’altare. Si piega la schiena ricurva. Perché, si domanda. Pensa con malinconia alla stanzetta in parrocchia. Il silenzio dei muri a mosaico. Il legno nocciola dei confessionali. Cerca la porta con gli occhi e gli occhiali. Il Biondo al microfono strilla qualcosa, ma l’audio è indecente. Esultano a corte i carnevalanti. E’ tempo: sfilano a fila le venti sfilanti. L’operatore è un orco priapico di centosei chili. Lo paga TeleScoliosi: nome coerente, a forza di inchini. E’ la poetica dell’editore: vogliamoci bene e in alto le cene. Fu Cagnolotto a guidare la cosa: copriamo l’evento, paglia per tutti, procuro la biada. Vi mando la Pompa, in rappresentanza: dubitavate? L’Amministrazione: ruolo di sprone. Ragazzi, su col morale, è tutto molto sociale. Enza aderì in sovrappeso. Chiese gli spazi: li ottenne, il caposervizio è una sega. Operatore è a un passo dall’essere obeso. Ma non se ne cura. Un’erezione imponente lo muove verso il tratto di nudo. Una bretella. Una cenzella. Galeotto fu il pantalone: non occulta una minchia, specie la minchia che deve. Un errore evidente. Quella cerbiatta: la 3. Il numero è giusto? Chissà. Che casco di pioggia tricotica, per me ha una sorca psicotica. Oper solfeggia la tele, ma vaga per l’iperuranio. Quella è una fata, quell’altra un’artista. Sono stracerto. Bellezze, ammirate: sta qui l’apripista. Si indica il Tosto col pollice verso, con l’altro preme un pulsante. La 7 è un’allieva di Titta, vent’anni suonati, sette di marche. Lo mira con dente di cobra: tesoro, mi ami davvero? Riprendi, maiale, riprendi, ché non ti fa male. Oper riprende, bomba all’ormone. La 3 si preoccupa: piano, con quel primo piano, ché ho la ricrescita svelta come il fagiolo incantato. Era un fagiolo, nevvero? No, una fava, replica Oper, ormai sessocentrico come il Re del Bordello. Fiaba? Ho udito l’esatto? Gloria Paesana si alza di scatto, ma il gesto gli costa lo sfratto di un peto rullante in faccia alla Pompa, che geme accorata: quant’è schizzinosa, pensa Larossa, quelli dei camionisti erano venti di rosa? Ma forse mi sbaglio. Il raglio del culo di Gloria finalmente s’acquieta. Gorgheggia adesso giulivo in piedi su un tavolinetto: O fulgido petto! Peccato reietto! La vita che rugge, la gioia che fugge... Dal retto gli sfugge una tromba assassina. Guardia, lontana, si è persa la causa, non certo l’effetto: sprangate, imbecilli!, la porca latrina. Ahinoi, non è roba di porte, neanche di bagni. Il Reve si chiude la faccia nei salmi: in nome di Dio, ma perché? Sfilano 4, 18, la 5 e la 3. Cazzo di ordine è? Ahem, per iscrizione, replica il Biondo. Bugìa: segnalazione, c’è dietro un bel giro di argenteria. La 2 è una fredda canaglia: coi piedi a tenaglia finge un inciampo e stende la 9, che corica il deretano sul liso tappeto rollé. In turpissimo agguato, Oper inchioda la lente sul pube testé sgambettato: diretta televisiva di un vello barbuto quanto un muflone. Andava rasato, esclama la Pompa con degnazione. See, pensa la Titta, parla Signora Convento: ai camionisti imboccava un canneto da soffocamento, altro che cere, toccava pagarle un giardiniere. Ma forse mi sbaglio. Ma credo di no. Sul tappetino è ormai baraonda: sfila chi sgomita meglio. La sindone bionda ci prova col corpo, col dorso, col pianto: non va, viene travolto. Allora ripiega sull’Ora Del Dialogo. Le venti storcono il naso, spesso già storto. Un’unica gemma resta in disparte: la 8. Quindici anni, può darsi. Alta, sottile, elegante. Grazia da ninfa, effluvio di linfa. Non sfiora il tappeto. Non teme l’agguato. Al Biondo ribatte con calma suprema, cita Virgilio, risponde a tema, un velo di rosso, daina fatata, Venere nivea, dea reincarnata. Si scosta, porge il microfono a un’altra: nonostante il Biondo insistesse. Altre poetesse prendono il lardo. Dici qualcosa? Qualcosa. Tiriamo le somme? Uno più uno. Perché vinceresti? Perché sono di questo paese, non come la 8, che è nata a Porta Portese, cazzo la fate iscrivere a fare? Ma il Premio è ormai nazionale. Chissenefrega, niente straniere, pensate alla ciccia nostrana! L’allieva di Titta arringa la folla sovrana, che la ricambia appecoronata d’estasi e bava. Oper non sa quali tette inquadrare, la camera è un’idra impazzita. Biondo non sa cos’altro sudare. Tocca chiamare, per giunta, l’Inclito Meglio alla parlata: sai che cazziata, se no. Corrispond Enza è la prima: con unghia ferina agguanta l’arnese comunicatore, solo che è il membro dell’Operatore. Piccola gaffe. Oper s’inquarta: ha ben altri indirizzi. Enza si assesta, e stavolta ci prende. Giù una tirata su quanto si apprende dal costume di un uso, e le tradizioni, valorizzazioni, il Carnevale è molto sociale, lo scriverà sul suo amato giornale. Sindaco, prego, si accomodi. Concittadini! Un attimo avana: un balzo, e Gloria Paesana appaia Eminenza. Corrispond Enza conosce i suoi polli e non rischia l’aviaria: tuffo da rugby in cerca di aria. Concittadini, dicevo. Santità, la introduco. Gloria è in forma Campiello: ciò che gli esce dal culo è una scampanata da mucca modello. Non sembra interrompersi mai. Sindaco è alla depressione. Gloria alla decompressione. Poi finalmente può stornellare, ma il tanfo gastritico è ormai nucleare: donne che perdono il latte, bimbi svenuti sui bordi, padri che diventano sordi. Gloria è in missione per conto di Musa: Trabocca costui di Virtù, adusa al proscenio s’accascia... Al Sindaco cade la fascia, ormai monocolore: il Biondo la usa come un pompiere, dato l’odore. Lontano, ma troppo vicino, il Reve accarezza il rosario: Signore, perdona chi proprio non sa. In nome di Dio, ma perché? Invece Titta lo sa. Rosa dai venti del ventre infernale, di fianco madame Pompa D’Oro ha scartavetrato il corpetto su un chiodo tetanico. Sotto lo sbrego, la prova: un orsetto. Piacevano a bimba i peluche. Il camionista era bravo, dopo sei anni in galera. In cambio del tatuaggio, gli aveva fatto uno sconto e un magheggio a tutto canneto. Allora sei tu! Titta le ringhia sul muso. Dannata puttana... Nà, parla Suor Santa. Titta sfila uno spiedo dal tacco, Pompa ha estratto il chiodo dal muro, povero scemo chi crede che il mondo non sia un gioco duro. Mò cazzo vuoi? Il maltolto, Bimba cresciuta, secondo i miei conti mi devi quanto mezza tenuta. Cretina, sei sempre la stessa. Badessa, il sistema è cambiato. Sta’ buona, ti spiego: possiedi mezzo villaggio, ti porto dal priso con cui me la faccio, tre anni di spot per i tuoi letamai e appianiamo la lira per ora e per mai. Non male, sciappé: stai tranquilla, vuol dire cappello in francese. Davvero si può ragionare, signora, cortese, posso aiutarla a disinfettare? Abbracci, agnizione, un liquore. Maestra ed allieva sono donne di cuore. Mica soltanto d’affare. L’affare, intanto s’ingrossa: lo pensa di sé Operatore, che quasi rimpiange Corrìspond. Intorno è oramai Babilonia. La 7, di nome Strapponia, sgombra la 10 con l’anca. Sicura di farla franca, la 20 ruba una rosa dai paraventi e punge la 6 sulla tromba d’Eustachio. Esaurito il contegno, si prendono a calci senza ritegno la 1, la 9 e la 68, un numero fuori dal lotto, chi cazzo ha infilato ‘sta specie di strega? Il Biondo stramazza. Collega! Cazzo succede? Si prendono a pugni. A calci, mi sembra, mio capitano. E insomma, vuoi intervenire, su tutto ti devo istruire, qui la faccenda finisce a puttane. Larossa e la Pompa si sono girate: signore, scusate, un modo di dire. Nel Kaos ditirambico e amaro il Sindaco è un grumo color amaranto. Gloria Paesana lo marca e lo scova: mio Duce! L’incanto. Però non può continuare: nell’intestino riparte la pressa. La calca lisergica e ossessa adesso calpesta i feriti. Giuràti! La 7 non perde la luce, fedele al suo degno obiettivo. Dov’è quel minchione di Sindaco? Posto che sia ancora vivo. Lo trova cianotico e gobbo che striscia verso il corridoio. Col cavo di Oper fa un nodo scorsoio: ascolta, eminenza, ci tieni alla panza? Allora urla alla stanza: numero sette! Oppure ti aggiorno lo stock di cravatte. Sindaco crolla: ci lascio la buccia, altro che fiesta, fottuta fandonia, e rauco propina: signori, è Strapponia!, Miss Mascherina. Con voce di zanna, la 7 ruggisce agli ultimi intatti: sentito? Son io! Farabutti, la più bella di tutti. Evacua Larossa, in pelliccia di vacca. Evacua la Gloria, ma qua è roba di cacca. Oper è un grizzly, e sciaborda la tele, ulula il pubblico, Gomorra e Babele. Intonsa, mistero! Come diavolo ha fatto? In un canto la 8 è un divino cerbiatto. Reve è sbiancato, ma è solo battaglia. La scorge, la scruta, infine l’artiglia. Nivea lo stringe, lo scuote, lo piglia. Andiamo, scimmiotto, ho nostalgia: è da ieri che manco dalla tua sagrestia. Nella calca imbelvita risplende il prevosto: abbranca la ninfa, che lo stira in quel posto. Ma reggi, nonnetto? Sono cento, ‘sto mese: ho oramai quindici anni, e talune pretese. T’impalo, figliola, le fa Reverendo: cicatrice tra i denti, un sorriso tremendo. Il prete infoiato è l’ultima foto. Schienato, nel vuoto, pensa preagonico il Sindaco lesso: chiamatelo fesso. |
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